
Gli istituti elvetici presi di mira dal Fisco italiano – Ma manca la chiarezza giuridica
LUGANO – L’intervista all’avvocato Emanuele Stauffer, apparsa venerdì scorso su queste pagine con il titolo «Banche, fate i conti con il passato», ha sollevato discussioni all’interno del settore bancario ticinese. Abbiamo chiesto ad Alberto Petruzzella, presidente dell’Associazione bancaria ticinese, quali sono i punti toccati da Stauffer a suscitare il dibattito.
Emanuele Stauffer ha affermato che per le banche svizzere in Italia esiste un problema, quello della legacy, ossia del passato delle banche, che rappresenta ancora oggi un contenzioso con le autorità fiscali. Quali sono le questioni sul tappeto a questo livello?
«L’autorità fiscale italiana ipotizza che le banche svizzere – che per essere chiari hanno pagato le imposte fino all’ultimo centesimo – dovessero versarne una parte all’Italia e non pagarle esclusivamente in Svizzera. Si tratta di una questione regolata da un trattato per evitare la doppia imposizione e la questione ora va chiarita. È nell’interesse di tutti, specialmente delle banche, chiarire la questione per il passato ma anche per il futuro».
L’Autorità fiscale italiana ha spedito ad alcune banche svizzere delle lettere, chiedendo varie informazioni. Ma questo rientra nella giurisdizione italiana? Non deve essere Berna a dialogare su questi temi in una situazione di parità con le autorità italiane?
«Effettivamente nelle scorse settimane alcune banche svizzere hanno ricevuto direttamente dall’Autorità fiscale italiana una richiesta di dati e d’informazioni riguardanti l’attività bancaria svolta negli ultimi anni nella vicina Penisola, con un termine di risposta perentorio di 20 giorni. Le banche svizzere, tramite le loro associazioni, hanno già intrapreso da tempo contatti con l’Amministrazione federale per discutere e chiarire i presupposti legali di tali richieste. Da un punto di vista giuridico la prima domanda che ci si pone è sulla legittimità delle richieste provenienti da un’autorità fiscale estera, indirizzate direttamente alla sede di una società in Svizzera. In particolare, prima di dare seguito a queste richieste, si ritiene che vadano considerate le disposizioni svizzere in materia di segreto bancario per quel che riguarda i dati dei clienti, di protezione dei dati personali per quel che riguarda i nomi dei consulenti bancari e di divieto di trasmissione di dati verso uno Stato estero, secondo l’art. 271 del Codice penale svizzero».
Lei considera legittime le richieste di dati inoltrata alle banche svizzere da parte dell’Italia? Ritiene che la risposta dell’Associazione svizzera dei banchieri e della Confederazione a queste richieste sia stata adeguata?
«Da un punto di vista squisitamente fiscale la materia è alquanto complessa, in quanto le rivendicazioni italiane si riferiscono ad attività finanziarie transfrontaliere che sfuggono a regole chiare. La stessa Convenzione contro la doppia imposizione tra Italia e Svizzera non stabilisce delle regole precise nella definizione di territorialità fiscale. Evidentemente qui l’Italia gioca d’attacco, richiamando a sé tutti i redditi generati da affari con la clientela italiana, nei modi e nei toni a lei cari».
La Svizzera e l’Italia hanno raggiunto un accordo dove i negoziatori italiani hanno fatto alcune promesse alla controparte riguardante l’accesso al mercato italiano. Finora queste promesse non sono state soddisfatte. Non ritiene un po’ ingenuo firmare dei trattati sulla base di promesse? Cosa può fare la Svizzera di fronte a questa situazione?
«Esattamente quattro anni fa Italia e Svizzera hanno concordato una roadmap che stabilisce l’impegno per una soluzione su vari aspetti fiscali, tra cui, in particolare, la regolarizzazione dei capitali non dichiarati della clientela e l’accesso al mercato transfrontaliero per le banche. Se, da una parte, le banche svizzere si sono impegnate a fondo per convincere la clientela italiana a dichiarare i propri averi all’estero, da parte italiana non c’è stata nessuna cooperazione. Anzi, ora ci ritroviamo con delle richieste supplementari».
A suo avviso, qual è il comportamento adeguato delle banche svizzere di fronte alle richieste italiane?
«Ogni istituto ha la sua storia e una tipologia di business specifica. Sarebbe quindi sbagliato considerare tutte le banche in maniera unica, come lascerebbero intendere le lettere dell’Autorità fiscale italiana che invece sono assolutamente identiche e prive di ogni motivazione concreta. Starà quindi al singolo istituto valutare tutti gli aspetti e decidere se e come procedere. Rimane inteso che se un domani le banche svizzere saranno chiamate a versare tasse e imposte in Italia, queste saranno dedotte dalla fiscalità svizzera con gravi contraccolpi anche per l’erario cantonale e comunale».
Non vede un nesso diretto fra le lettere inviate alle banche elvetiche e il ritardo nel concedere il libero accesso al mercato italiano? Questa offensiva fiscale a suo modo di vedere potrebbe nascondere la volontà di non concedere il libero accesso al mercato italiano?
«Formalmente l’operato dell’autorità fiscale dovrebbe essere indipendente dall’accesso al mercato, su cui è competente l’autorità di vigilanza. In pratica, alla solerzia quando si tratta di chiedere non corrisponde grande entusiasmo da parte italiana quando si tratta di dare. Sul piano politico sarebbe importante ora chiarire che ci aspettiamo passi concreti da parte italiana sull’accesso al mercato per le nostre banche prima di fare ulteriori concessioni su altri temi».
Cosa ha detto Stauffer
Il caso PKB
«Il caso PKB segna un cambiamento d’atteggiamento dell’Italia nei confronti delle banche svizzere (…). Questo, verosimilmente, per ottenere dagli istituti il pagamento di debiti di imposta di cui l’Italia ritiene di essere creditrice».Hanno tutto per attaccarci
«L’Italia i dati per procedere nei confronti delle banche svizzere li ha già tutti. Dalle voluntary disclosure sono emersi tutti gli elementi che servono agli inquirenti per tentare di sostenere l’esistenza, in passato, di un modello di business irregolare».Liberarsi del passato
«Se si vuole operare sul mercato italiano, ed è ambizione di tutti, occorre accettare l’esistenza di una legacy. Mettere a posto il passato, gettando fondamenta solide per il futuro». Dialogando e anche eventualmente pagando multe.
Corriere del Ticino (18 febbraio 2019)